CENTRO DIAGNOSTICO B.D.S.
Quando ci si appresta ad effettuare il prelievo ematico, è bene osservare alcuni consigli.
E' importante sedersi e rilassarsi, questo breve periodo di attesa permette di stabilizzare la circolazione del sangue e la concentrazione delle sostanze in esso presenti.
E' opportuno fare una buona colazione.
N.B. Le persone sottoposte a terapia (esempio trattamento farmacologico per il cuore, diabete, ansia, depressione, artrosi, etc.) devono seguire le indicazioni del Medico curante.
Per l’esame completo l’utente raccoglie un campione delle prime urine del mattino, salvo diversa indicazione del medico curante. Il campione va raccolto scartando il primo getto; bisogna utilizzare appositi contenitori monouso con tappo auto sigillante in vendita in farmacia o forniti direttamente dal laboratorio. Il campione d’urina può essere raccolto anche direttamente in laboratorio.
L’urina va raccolta in un contenitore sterile che potrà essere ritirato presso il laboratorio o acquistato in farmacia.
E’ consigliabile effettuare la prova con la prima urina del mattino, seguendo questo procedimento:
Per questo esame è consigliabile rivolgersi al personale del laboratorio per precise indicazioni sulla procedura da seguire.
Per la raccolta delle urine delle 24 ore si deve:
Le feci vanno raccolte in appositi contenitori forniti dal laboratorio o in vendita in farmacia. E’ consigliabile raccogliere un campione del primo mattino, ma qualora questo non fosse possibile possono essere consegnate feci del giorno precedente conservate opportunamente in frigorifero.
Lo spermiogramma è un esame che misura la fertilità maschile. Nello specifico l'esame analizza la quantità e la qualità del liquido emesso durante l’eiaculazione, valutando sia gli spermatozoi che il liquido seminale. L’esame viene spesso richiesto per determinare l’infertilità maschile e rappresenta il punto di partenza per un’eventuale trattamento.
Partendo dal presupposto che gli intervalli di riferimento possono differire da un laboratorio all’altro e che per sicurezza è sempre meglio fare affidamento sugli intervalli presenti sul referto del proprio esame, in linea di massima possiamo affermare che per essere nella norma ciascun campione di sperma deve rientrare nei seguenti valori:
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera 1,5 ml il limite minimo di normalità del volume spermatico. Di conseguenza un volume più scarso può essere segnale di un blocco parziale o completo delle vescichette seminali o indicare addirittura la loro assenza congenita.
La conta spermatica, che misura la concentrazione degli spermatozoi nell’unità di volume di 1 ml, non va confusa con il conteggio spermatico totale, ossia la conta spermatica moltiplicata per il volume.
Secondo l’OMS una conta spermatica inferiore a 15 milioni di spermatozoi al millimetro indica una condizione di oligospermia o azoospermia. La prima, un’alterazione quantitativa, ovviamente verso il basso, del numero di spermatozoi prodotto è causa di fertilità ridotta, mentre la seconda, che indica la totale assenza di spermatozoi in un campione di liquido seminale, è causa di sterilità totale e spesso irreversibile.
La motilità è un dato importantissimo che però da solo non ci dice niente circa il grado di fertilità di un individuo. Ad esempio, in caso di conta spermatica elevata, una motilità inferiore al 60% potrebbe non essere per nulla influente in termini di fertilità, poiché le cellule vitali potrebbero essere comunque tantissime. Allo stesso tempo, un uomo con una conta spermatica al di sotto dei 15 milioni al millimetro ma con motilità superiore rispetto al valore minimo di riferimento può essere comunque fertile per la presenza di spermatozoi piuttosto vigorosi e vitali, sebbene più bassi rispetto alla norma.
La morfologia è il parametro che, probabilmente più di tutti, dà un’idea precisa della maturità e della capacità funzionale degli spermatozoi. La sua importanza dipende dal fatto che gli spermatozoi difettosi hanno meno possibilità di fecondare un ovocita.
Per quanto sia possibile eseguire una prima grossolana valutazione della morfologia, ricordiamo che per un’analisi più accurata delle possibili anomalie fisiche degli spermatozoi è opportuno compiere una colorazione del campione su vetrino.
Il pH seminale è alcalino con valori di normalità inclusi tra 7,2 e 7,8. Valori superiori a quelli indicati indicano generalmente la presenza di un’infezione, mentre valori inferiori sono spesso associati a patologie che determinano l’ostruzione dei dotti eiaculatori oppure a ipotrofie congenite o acquisite delle vescicole seminali.
La presenza di un alto livello di leucociti nel campione di sperma può essere sintomo di un’infezione o di un’infiammazione, che viene solitamente curata con gli antibiotici. La più diffusa infiammazione è senza dubbio la prostatite che può provocare sintomi come: bisogno di urinare frequente, bruciore durante la minzione, dolori in fase di eiaculazione e, in alcuni casi, difficoltà di erezione e calo del desiderio sessuale.
Lo spermiogramma viene eseguito quando il medico curante pensa che un paziente abbia problemi di infertilità. Se si ha la certezza che una mancata gravidanza sia dovuta all’infertilità maschile, l’esame dello sperma è utile per comprendere cosa impedisce la fertilità e valutare se sia possibile o meno ricorrere alla fecondazione assistita per facilitare la gravidanza.
Solitamente lo spermiogramma viene richiesto anche dopo la vasectomia per accertare che la procedura sia andata a buon fine. In questo specifico caso l’esame verrà ripetuto finché il campione di sperma sarà completamente privo di spermatozoi.
La curva glicemica o curva da carico orale di glucosio, anche definita con l’acronimo OGTT, è un test adoperato per riscontrare alterazioni del metabolismo dei carboidrati e dunque per diagnosticare il diabete mellito, una malattia cronica caratterizzata dall’aumento della concentrazione di glucosio nel sangue a causa di un deficit nella produzione o nella funzionalità dell’insulina. Inoltre il test della curva glicemica viene utilizzato anche in gravidanza per lo screening del diabete gestazionale, un’alterazione del metabolismo del glucosio che si verifica solo in gravidanza, di cui parleremo approfonditamente più avanti. Ma quando si può parlare di glicemia nella norma? Scopriamolo insieme.
A digiuno sono considerati:
Due ore l’assunzione della soluzione glucosata sono invece considerati:
In generale, valori di glicemia superiori a 200 mg/dl in qualsiasi momento della giornata indicano con ogni probabilità che il soggetto è affetto da diabete mellito.
Per il diabete gestazionale i parametri sono diversi. In questo caso rientrano nella norma valori inferiori ai 92 mg/dl a digiuno, inferiori ai 180 mg/dl a un’ora dall’assunzione della soluzione glucosata e inferiori ai 153 mg/dl a due ore. Di conseguenza, anche un solo valore superiore ai limiti indicati consente una diagnosi di diabete gestazionale, una condizione che deve essere tenuta sotto controllo per salvaguardare la salute della madre e del bambino.
Il test della curva glicemica viene solitamente richiesto:
Al contrario il test è superfluo quando almeno due valori di glicemia a digiuno superano i 126 mg/dl, quando un singolo valore supera i 200 mg/dl durante qualsiasi momento della giornata oppure nel caso in cui il valore di emoglobina glicata si rivela superiore del 6,5%, poiché ognuno di questi parametri, preso singolarmente, permette già di diagnosticare il diabete mellito.
Il test della curva glicemica, che consiste in piccoli prelievi di sangue a intervalli di tempo prestabiliti, si esegue in maniera semplicissima. Dopo un primo prelievo del sangue per misurare i valori della glicemia a digiuno, il paziente viene invitato a bere una soluzione glucosata composta da acqua e da 75 g di glucosio o destrosio, in sostanza acqua zuccherata.
Una volta assunta la soluzione, il paziente viene sottoposto a un altro prelievo del sangue dopo due ore. Nel caso specifico dello screening del diabete gestazionale i prelievi sono tre e viene infatti eseguito un altro prelievo anche dopo due ore dall’assunzione della soluzione glucosata.
Se vi state chiedendo se l’esame della curva glicemica è pericoloso o doloroso la risposta è negativa. Gli unici effetti collaterali, se così vogliamo chiamarli, sono la nausea e il vomito, specialmente tra le donne incinte, a causa dell’assunzione della soluzione glucosata che in quanto bevanda dolciastra potrebbe indurre nausea nei pazienti più sensibili. Una reazione del tutto normale che non deve preoccupare. Per il resto il test della curva glicemica rientra nella categoria degli esami semplici e per nulla invasivi.
La curva glicemica può essere alterata da alcuni fattori, quali:
Il test della curva glicemica, come già accennato, viene generalmente prescritto alle future mamme in dolce attesa come screening per il diabete gestazionale tra il secondo e il terzo trimestre di gravidanza, quindi tra la 26° e la 28° settimana di gestazione.
Il test non richiede nessuna preparazione specifica, se non il digiuno preventivo di 8 ore prima del prelievo come per tutti gli esami ematici. Dopo un primo prelievo di sangue per determinare la glicemia basale, alla paziente vengono somministrati 75 g di glucosio sotto forma di bevanda dolce e dopo un’ora, senza mangiare né fumare, si procede con un secondo prelievo. Se la glicemia nel sangue non supera i 140 mg/dl il test è negativo e la futura mamma può stare tranquilla, perché considerata non a rischio. In caso contrario, la gestante dovrà essere sottoposta a un secondo prelievo del sangue dopo un’altra ora. Se positivo, si procederà a tenerlo sotto controllo, anche perché nella maggior parte dei casi il diabete gestazionale tende a scomparire dopo il parto, con una dieta specifica ed esercizi mirati.
Se non preso in tempo o non tenuto sotto controllo, il diabete gestazionale potrebbe essere causa di:
Infine ricordiamo che tra i principali sintomi del diabete gestazionale rientrano la sete eccessiva, il bisogno frequente di urinare, la stanchezza cronica e la presenza di glucosio nelle urine.
Il Breath Test, ossia prova del respiro, rappresenta un prezioso ausilio nella diagnosi di intolleranze alimentari e sindromi da malassorbimento.
Questi disturbi dipendono dalla mancata digestione e/o assorbimento di particolari nutrienti assunti con la dieta. Lampante è l'esempio dell'intolleranza al lattosio, disturbo assai diffuso in cui l'ingestione di latte e derivati porta ad episodi di flatulenza, distensione addominale, diarrea e dolori più o meno intensi al basso ventre, spesso aspecifici e di non facile inquadramento diagnostico, perché comuni anche a malattie come la celiachia, la rettocolite ulcerosa e la sindrome del colon irritabile.
a. sospendere l’assunzione di antibiotici ed estratti pancreatici nei 15 giorni precedenti il test;
b. non assumere fermenti lattici, lassativi o antidiarroici almeno una settimana prima del test;
c. nelle 24 ore precedenti l’esame astenersi dal consumo di latte e latticini di origine animale, ma anche da tutti i prodotti alimentari che possono contenere lattosio come additivo;
d. la sera prima dell’esame consumare una cena a base solo di riso condito con olio e sale, carne/pesce e acqua naturale. Evitare qualsiasi salume o insaccato, burro, margarina e condimenti vari;
e. un digiuno completo di almeno 8 ore (è possibile assumere acqua naturale);
f. evitare di fumare dalla mezzanotte precedente;
g. la mattina del test eseguire accurata igiene del cavo orale, effettuando anche risciacqui con collutorio;
h. durante l'effettuazione del test - della durata di 90 minuti - evitare di mangiare e di fumare; si potrà assumere solo una piccola quantità di acqua naturale.
N.B. E’ consigliabile rimandare l’esecuzione dell’esame in presenza di diarrea importante e di patologie intestinali acute, come salmonellosi e gastro-enteriti. Analogo discorso in caso di recenti procedure diagnostiche come la colonscopia o il clisma opaco. L’osservanza di queste regole permetterà di diagnosticare con esattezza l’intolleranza al lattosio.
I test di screening sono esami che stimano il rischio personale di una donna di avere un feto affetto da sindrome di Down e trisomia 18. Non sono invasivi come l'amniocentesi, ma non danno certezze al 100%.
Il duo test si esegue tra l’undicesima e la quattordicesima settimana di gestazione.
Consiste nella valutazione di due proteine placentari, che si prelevano dal sangue materno. Sono la PAPP-A (Pregnancy associated plasma protein, ovvero la proteina associata alla gravidanza) e la frazione libera della Bhcg (gonadotropina corionica), associato a un esame ecografico (translucenza nucale). Il calcolo del rischio statistico viene fatto da un software.
Stima il rischio del feto di essere affetto da anomalie cromosomiche, in particolare trisomia 21 (sindrome di Down) o trisomia 18 (sindrome di Edwards). Può identificare condizioni di rischio particolari per alcune anomalie anatomiche (cardiopatie congenite) o placentari.
Questo test non dà certezze ma fornisce una stima delle probabilità che il feto possa essere affetto da anomalie cromosomiche. In base al risultato, spetterà alla coppia decidere se effettuare o meno un test diagnostico.
Attendibilità del test: circa 80-90%.
Il tampone appartiene a quella serie di indagini diagnostiche noti anche con il nome di "test molecolari". Il tampone rappresenta l'esame principale ed il più affidabile per stabilire la presenza del virus. Il test si fonda sulla ricerca dei frammenti del materiale genetico di cui è composto il virus. Il materiale biologico, prelevato con un lungo bastoncino simile ad un cotton-fioc Dalle cavità nasali del paziente, viene analizzato attraverso metodimolecolari di real-time RT-PCR (Reverse Transcription-PolymeraseChain Reaction) per l’amplificazione dei geni virali maggiormenteespressi durante l’infezione. La presenza di questi frammenti indica l'avvenuto contatto con il virus e dunque la positività. Attualmente l'unico vero limite del test è la lentezza nell'ottenere i risultati (circa 24 ore). Gli esiti dei tamponi molecolari vengono caricati direttamente sulla piattaforma della Regione Campania.
Completamente differente è il discorso dei test antigenici. Mentre per quelli molecolari si ricerca il materiale genetico del virus, gli antigenici ricercano la presenza di proteine virali in grado di legarsi ad anticorpi. Le modalità di raccolta del campione sono del tutto analoghe a quelle dei test molecolari. Il risultato è pressochè immediato (circa 20 minuti) e non necessita di strumenti di laboratorio. La sensibilità e specificità di questo test sono inferiori rispetto ai tamponi molecolari. Pertanto, eventuali diagnosi di positività ottenute devono essere confermate da un tampone molecolare. Gli esiti dei tamponi antigenici rapidi vengono caricati sulla piattaforma della Regione Campania.
I test sierologici permettono di valutare la presenza e conseguetemente lo sviluppo da parte del nostro sistema immunitario di anticorpi in risposta all'infezione da SARS-CoV-2. L'eventuale loro presenza significa essere stati in contatto con il virus. In particolare ciò che viene valutata è il riscontro delle IgM e delle IgG. Le prime vengono prodotte dopo l'entrata in contatto con il virus, le seconde indicano che si è instaurata una memoria - almeno temporanea - e che, quindi, l'infezione è avvenuta da diverso tempo. I test sierologici forniscono, in linea di massima, il "film" dell'infezione. Particolarmente indicati per conoscere la diffusione del virus nella popolazione, sono meno utili per stabilire se c'è un'infezione in atto. I test si dividono in due gruppi: qualitativi e quantitativi.
I test qualitativi si basano sulla tecnica di immunocromatografia e ci dicono, in tempi rapidi, se c'è la presenza o meno degli anticorpi, mentre i test quantitativi valutano, oltre la presenza, il livello di immunoglobuline IgG ed IgM, specifiche per il SARS-COV-2 con la tecnica fluoroscenza (ELFA). Il target ricercato dai test VIDAS® SARS-CoV-2 IgM e IgG è il sito legante il recettore RBD (Receptor-Binding Domain), all'interno della subunità S1 della proteina Spike di SARS-CoV-2. I test di sieroneutralizzazione e la coltura del virus hanno dimostrato la presenza di anticorpi neutralizzanti, che sono correlati alla presenza di IgG che riconoscono la proteina spike e la nucleoproteina del SARS-CoV-2.
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La clamidia è un'infezione di tipo batterico causata da un microorganismo - Chlamydia trachomatis - trasmesso attraverso pratiche sessuali non protette o per via materno-fetale. Ogni anno si contano nel mondo circa 90 milioni di nuovi casi.
La clamidia può essere trasmessa attraverso rapporti vaginali, anali o orali non protetti. La probabilità di trasmissione se il partner è infetto aumenta del 20%. Spesso è trasmessa dalla madre infetta al neonato al momento del parto. E' possibile la trasmissione attraverso oggetti usati per il piacere sessuale.
Spesso i sintomi compaiono entro 7-12 giorni dal contagio, in genere sono scarsamente evidenti.
Nell'uomo si manifestano con bruciori urinari, fuoriuscita di liquido dalla punta del pene, arrossamento del glande, dolore e gonfiore dei testicoli. Nella donna sono presenti perdite vaginali, sanguinamento intermestruale, dolori durante e dopo i rapporti sessuali, disturbi urinari. Per entrambi sono presenti perdite liquide o sanguinamento dall'ano in caso di infezione anale.
La clamida non curata nella donna può provocare danni permanenti all'apparato riproduttivo. L'infezione, infatti, può diffondersi all'utero e alle tube di Falloppio causando una Malattia Infiammatoria Pelvica (MIP) con conseguenti dolori al basso ventre, infertilità, possibili gravidanze extrauterine. Nell'uomo le conseguenze sono più rare: a volte l'infezione può raggiungere i testicoli causando infiammazione con conseguente dolore e febbre, più raramente, infertilità.
La diagnosi si fa analizzando in laboratorio le secrezioni genitali del paziente. Il test consiste generalmente nel semplice prelievo di un tampone cervicale, uretrale, vaginale o urinario, che verrà poi analizzato in laboratorio. Solo una diagnosi tempestiva ed attendibile è infatti in grado di impedire l'eventuale comparsa delle complicanze più severe.
Si cura facilmente con un ciclo di antibiotici. La cura può avere durata variabile, con un massimo di 20 giorni. Dopo la cura si è in genere guariti ma non sono rare le ricadute. Ogni ricaduta aumenta il rischio di complicanze e di infertilità.